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Villaggio Ipogeo

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Descrizione

Tra le necropoli di eta’ punica in Sardegna, attualmente quella di Sulcis, e’ la piu’ importante per la vastita’ dell’impianto funerario, per la complessita’ architettonica e per i reperti archeologici rinvenuti nelle tombe durante gli scavi. La sezione attualmente visibile e’ stata utilizzata tra la fine del VI e la fine del III sec. a.C. cioe’ durante il periodo che corrisponde alla conquista cartaginese della Sardegna. L’estensione originaria della necropoli era di oltre sei ettari e considerando che in media ogni tomba occupava quaranta metri quadrati si puo’ valutare che il numero di ipogei fosse di circa millecinquecento. In base a cio’ la popolazione, all’epoca, residente puo’ essere stimata in 9000-10.000 abitanti, inserendo l’antica Sulky tra le citta’ piu’ popolose ed estese del Mediterraneo. Oltre alle tombe utilizzate come abitazioni, i due settori attualmente visibili della necropoli sono situati, uno, tra l’altura del Fortino Sabaudo e il mare, l’altro, sotto la Basilica dedicata a Sant’Antioco. BereniceNel primo caso, si tratta di una quarantina di tombe ipogee situate tra via Castello, via Carducci e gli edifici della scuola elementare di via Virgilio. Nel secondo caso, con accesso dall’interno della Chiesa, sono visitabili alcune tombe puniche che, nei primi secoli della nostra era, furono poste in comunicazione tra loro e riadattate come catacombe cristiane. In eta’ punica, il rito funebre, era soprattutto quello dell’inumazione, ma esistono testimonianze attribuibili al rito d’incinerazione piu’ tardo. Le tombe sotterranee sono spesso disposte a profondita’ differenti cio’ a causa della densita’ delle tombe gia’ esistenti che portarono, nel tempo, a scavarle a profondita’ maggiore. Le sepolture piu’ antiche sono situate nei pressi della Basilica di Sant’Antioco e verso il centro del paese, mentre quelle piu’ recenti si estendono in posizione periferica intorno alla collina del Fortino. Si puo’ intuire che lo scavo delle tombe sia stato opera di addetti specializzati appartenenti, con molta probabilita’, ad una confraternita di affossatori. Si calcola, in base alla dimensione di questi ipogei ed in relazione alla morbidezza della roccia tufacea, che per scavare una di queste tombe fosse necessario il lavoro di un operaio per almeno due mesi. Allo scopo erano utilizzate piccozze e scalpelli le cui tracce sono ancora visibili sulle pareti e sui soffitti. Alcune camere sepolcrali non contenevano piu’ di una deposizione, mentre altre, utilizzate almeno per tre secoli, recano traccia di 40/50 corpi. Queste tombe sono fondamentalmente costituite di due parti: il corridoio d’accesso, denominato DROMOS, formato da una scala e da un pianerottolo e la camera sepolcrale atta a ricevere i corpi dei defunti e i loro corredi. L’apertura della camera era ampia quel tanto sufficiente al passaggio del corpo del defunto disteso sul letto funebre mentre i sarcofagi in legno, che in alcuni casi lo accoglievano, sicuramente venivano introdotti smontati. Il portello veniva chiuso dall’esterno con una lastra di tufo e sigillato con argilla fluida, ma poteva essere chiuso anche con pietrame ammonticchiato o con mattoni di argilla cotti al sole. Il rito funebre probabilmente si svolgeva in questo modo: il corpo del defunto veniva lavato quindi unto con oli profumati, adornato con gioielli e con oggetti di toeletta di uso personale. Quindi veniva rivestito con una lunga tunica o avvolto in un sudario, veniva disteso su una sorta di barella molto semplice ai cui lati erano alcune maniglie necessarie sia per essere impugnate durante il trasporto, sia per farvi scorrere le corde con le quali il corpo veniva calato sul fondo del dromos. Il corpo, una volta introdotto nell’ipogeo, era accompagnato dai vasi rituali e i recipienti di corredo. Questi erano costituiti dalla brocca di forma biconica e dalla brocca con orlo espanso destinate, la prima, a contenere il vino per la libagione sacra, e, la seconda, a conservare l’olio per l’unzione e a spargerlo sul corpo grazie all’orlo cosi’ svasato. Altri oggetti, quali anfore di grande e piccola dimensione potevano essere destinate a contenere acqua o vino, brocche con orlo circolare o trilobato atte ad attingerli o versarli, infine tazze, piatti e lucerne. I vasi di terracotta, sono gli oggetti piu’ grandi all’interno delle tombe, ma non mancano gioielli d’oro, amuleti di pasta vitrea e gli scarabei-sigillo. Terminata la cerimonia funebre gli affossatori chiudevano e sigillavano il portello d’ingresso, i parenti, allo scopo di compiere un sacrificio in onore del defunto, gettavano sul fondo del DROMOS piccoli vasi colmi d’olio profumato o altri recipienti.

In seguito al ritrovamento delle spoglie di Sant’Antioco sotto la Basilica a lui dedicata, avvenuto nel 1615, il Vescovo tentò di porre fine al lungo abbandono dell’isola dovuto alle continue incursioni dei pirati barbareschi. Così, richiamati dalle concessioni di terreni promesse dalla chiesa, furono numerose le famiglie che iniziarono una nuova vita nell’isola, seguiti da tantissime altre che pur non ottenendo niente in cambio del loro coraggioso ritorno si adattarono a questa vita fatta di miseria, povertà ed emarginazione. Nei primi decenni sicuramente si tentò un adattamento provvisorio che si trasformò poi in stabile. Nella zona conosciuta sino al 1998 con il nome di Sa arroga de is gruttas. Numerosissime le famiglie che vissero nel rione sino agli inizi degli anni ’70. Dediti da sempre alla raccolta di tutto ciò che la natura offre spontaneamente si recavano in campagna a raccogliere funghi, cardi, carciofini selvatici, legna, e in laguna per la raccolta di bocconi, arselle ed quant’altro barattando questi prodotti in cambio di beni di prima necessità. I gruttaius, questo l’appellativo che li distingueva dagli altri abitanti di Sant’Antioco, si occupavano nel mese di maggio della raccolta delle foglie di palma nana che, fatte essiccare durante l’estate, venivano poi intrecciate abilmente. Da questa umile pianta potevano confezionare scope, borse, cordami, crine per le imbottiture ed ancor oggi sono numerosi gli anziani che si occupano della produzione di questi manufatti intrecciati.

  • Indirizzo: Via Ugo Foscolo, 4 – 09017 Sant’antioco (CA)
  • Telefono: +39 0781 82105

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